Indulto Internazionale L’indulto è una causa di clemenza di carattere generale che opera esclusivamente sulla pena principale, condonata, in tutto o in parte, o commutata in un’altra specie di pena stabilita dalla legge (art. 174 c.p.). Al pari dell’amnistia, è concesso con legge deliberata dal Parlamento, con una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La legge che concede l'indulto stabilisce il termine per la sua applicazione e, in ogni caso, non può applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge (art. 79 Cost.). Così è avvenuto con la legge 31 luglio 2006, n. 241 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 31 luglio 2006) che l’ha concesso per tutti i reati commessi fino a tutto il 2 maggio 2006 nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive. Si è, quindi, posta la problematica se il cd. indulto fosse applicabile alla pena irrogata al cittadino italiano con sentenza straniera e posta in esecuzione in Italia ai sensi dell’art. 12 della Convenzione di Strasburgo 21.3.1983: in particolare, l’incertezza di disciplina nasce dall’assenza, nella suddetta Convenzione, di un riferimento preciso a detto istituto, sconosciuto nella maggior parte delle altre legislazioni europee. La Suprema Corte, a Sezioni Unite, con sentenza n. 36527 del 10.7.2007, seguendo un orientamento minoritario delle sue sezioni, ma informato ai principi della Corte di Giustizia Europea, ha ritenuto applicabile l’indulto anche alle persone condannate all’estero e trasferite in Italia per l’espiazione della pena, ai sensi della Convenzione di Strasburgo. E’ sorto, quindi, l’ulteriore problematica nel caso delle istanze di applicazione indulto già respinte prima della sopracitata sentenza: l’indirizzo giurisprudenziale prevalente vedeva l’assoluta preclusione per la proposizione di una nuova istanza, in quanto si doveva ritenere formatosi il cd. giudicato esecutivo. Anche in questo caso, la Suprema Corte, a Sezione Unite, con sentenza n. 18288 del 21.1.2010, ha tracciato un solco, che successivamente è stato ripreso in altri settori del diritto, sancendo che il mutamento giurisprudenziale intervenuto con decisione delle Sezioni Unite, integrando un nuovo elemento di diritto, rende ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell’indulto in precedenza rigettata. Ad oggi, dopo il complesso percorso giurisprudenziale sopradescritto, si è giunti a due caposaldi in materia di esecuzione della sentenza straniera nei confronti del cittadino italiano, riconosciuta per l’esecuzione sul territorio nazionale ai sensi della Convenzione di Strasburgo: - l’indulto ex lege 241/2006 è applicabile; - l’eventuale richiesta di applicazione indulto, già respinta ante sentenza n. 36527 del 10.7.2007, può essere riproposta. Alla luce delle suddette statuizioni, si può ritenere che lo Stato Italiano, dopo ripetute condanne da parte della Corte di Strasburgo (si veda in particolare il caso Grava contro Italia, sentenza del 10 luglio 2003), si sia, dunque, finalmente adeguato alla normativa comunitaria. Può essere, infine, utile richiamare Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 10 luglio 2008 (dep. 23 settembre 2008), n. 36522 dove viene sottolineato, fra l’altro, che “…l’indulto previsto dalla legge italiana è identificato nella “remise de peine” dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu, 13 maggio 1980, Artico c. Italia, par. 45; Cedu, 10 luglio 2003, Grava c. Italia, par. 31 ss.; Cedu, 2 marzo 2006, Pilla c. Italia, par. 19), come in altri documenti di fonte internazionale. Definisce “remise de peine” (d’origine parlementaire) l’indulto secondo la legge italiana uno studio comparativo condotto dal Senato francese nel 2007 sugli istituti clemenziali previsti in taluni Stati europei (Les documents de travail du Sénat, série Législation Comparée, l’amnistie et la grâce, doc. LC 177, 1 octobre 2007), rilevando che in Italia e in Portogallo sono previste forme di remises de peine da parte del Parlamento, simili alla “grazia collettiva” (pardon collective), che, tradizionalmente concessa dal Presidente della Repubblica in occasione della festa nazionale francese, comporta una “remise partielle de peine” per le persone detenute o condannate da calcolarsi sulla pena da scontare; secondo tale studio, anche in Belgio e in Olanda si è fatto ricorso a grazie collettive, accordate dal Re. E la Corte di cassazione francese (Cour de cassation, Chambre Criminelle, 10 marzo 1998, n. 97-81.151), in relazione al trasferimento di un condannato dal Regno Unito, ha sostenuto che, in base agli artt. 9, par. 3, e 10, par. 1 della Convenzione di Strasburgo, alla residua pena da scontare si applica la legislazione francese, escludendo peraltro nella specie, ma solo ratione temporis, l’applicazione di una “remise de peine résultant du décret de grace collective” emanato prima del trasferimento del condannato in Francia. In particolare, circa la figura del “collective pardon”, risulta dai documenti del Consiglio d’Europa che tale istituto, distinto dall’amnistia, è previsto oltre che in Italia (così è definito l’indulto ex l. n. 241 del 2006) in Austria, Armenia, Belgio, Francia, Moldovia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Macedonia…”.
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